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sâmbătă, 10 august 2019

Voi

A Serena e Giorgia





Gli esseri umani scelgono sempre
le vie veloci.
La corsa sulle autostrade
li offre una sicurezza in piu
che trionfanti taglieranno
il traguardo.
Loro spingono sull'acceleratore
con gli occhi incollati alle strisce
tracciate sull'asfalto,
concentrati nei sorpassi.
Ciecchi alla bellezza della divina creazione,
che adorna le vie laterali:
attraverso le citta,
frutteti,
giardini,
attraverso le foreste, di tanto in tanto.

Io, tu, lei,
alcuni loro,
gli altri
iscritti alla corsa
sulle tortuose strade.
E sempre li il traguardo
...difficile da raggiungere.

Pero il viaggio...

Ho raccolto tutti i fiori rari,
conosciuti ora
soltanto dai libri di botanica
dove si salva
la flora in via di estinzione.

Ho domato tutte le belve,
rifugiate nelle loro tane
ho modellato le loro forme nell'argilla.
(ceramica bianca, che solo nel paese
ucciso dalle utopie si trova ancora).
Mi sono bagnata le ferite
nella sorgente della poesia
all'improvviso scaturita
come la vena d'acqua dal ventre della terra
verso l'occhio del bambino
impietrito nell'attesa.
E sono fiorita
nel cammino verso di te.

Nella piazzeta
le pietre del selciato contornano
la fontana.
Una via di latte e sangue
disegna il velo della sposa,
perso,
le corolle spezzate
nel bouquet lanciato dietro la testa.
E li,
tra corpi perfetti,
scolpiti ossessivamente da mani innamorate,
tra i punti interrogativi,
vestite dal sorriso,
e il mio cuore pronto a stendersi
ai loro piedi,
Tu,
inesauribile balsamo sulle ferite
passate e future,
eterna madre di coloro che
non corrono sulle autostrade,
sorella di quelli che non si assomigliano
mai fra di loro,
Tu,
colei a cui ho regalato
i doni delle mie foreste.

Tu e
Lei,
la ragazza dai capelli
come il mare scatenato
nel tardo della notte
sulle dune di sabbia
delle spiagge di Cesenatico.

Voi.
          (Nel ricordo di una sera d'ottobre, 2018, a Cesena) 



Traduzione in italiano, dal rumeno, di Claudia Albu-Gelli

miercuri, 29 august 2018

poemi dal muro - La separazione IX

Amo tutti i giorni di libertà,
e nelle notti tra loro espio le penitenze.

La peccatrice non è stata lapidata.
supera i confini dei miei pensieri
incurante.
con cocci di cielo dentro le pupille
taglia in viva carne.
il sangue scorre calmo
fino alla sedia del giudice.
passa orgogliosa,
ad ogni pensiero
abbatte con la fronte
un angelo.
ai suoi piedi
la sentenza cade pesante
come un uccello ucciso quando c’è luce.
vorrei parlarle
però non so in che lingua piange.

Vorrei ammorbidire le sue catene
però
ogni volta
ho le braccia piene di fiori.
la guardo impotente
facendomi simile alla pietra.
si chiama Anna.
il suo nome rotola attraverso me nel tempo
come una palla di bowling.
poi ho sete.
e morte.

La mattina
la mano della colpevole asciuga il sudore del sogno
sulla fronte staccata dall’intonaco.
sotto il suo palmo fioriscono grinze.

Non mi diverto mai con il gioco della campana,
boia.
Non posso saltare oltre i muri di creta.

poemi dal muro - La separazione IV

In verità tutto è vanità...

Solo l’amore per te
mi ferma di essere una Karenina,
anche se porto il suo nome.
tu non senti come
apro talvolta la finestra.
la chiamata di un treno sale lamentosa
sull’edera rossa
fino al caldo del seno
sgozzato dall’attesa.
né come prendono corpo dalla notte
i fantasmi della solitudine
e come scorrono diluiti nelle tinte
che hanno l’odore di donna che scrive la stessa storia.

Non ti ho mai parlato di paura.
dalle lettere apprendi sempre che sto bene
e nelle fotografie non puoi vedere
sotto la traslucida pelle
la mappa gelata del sangue.

Lavo nel tramonto un libro.
vorrei sapere almeno
che non ci chiuderemo tra le sue copertine.
e che tu resterai
sempre
reciso dall’estremità del mattino.

Sopra le palpebre
s’accumulano pietre
e l’alba arriva sempre troppo tardi...
se non ti amassi...
come sarebbe semplice se non ti amassi!

Dalla coppa che trabocca con generosità,
boia,
berrai veleno anche tu.
quel giorno verrà!

poemi dal muro - La separazione II

Ogni Anna porta nell’anima il muro.

Cadono petali di sangue
si schiacciano con eco sulle pietre
schizzando il muro grezzo.
la spina morde perfidamente il seno che trema
sotto il simulacro dell’abbraccio.
resta indietro una via di papaveri
e un campo da seminare davanti.

Torno
sempre
nella mia prigione.
amica,
come per darmi il benvenuto:
mi permette di attaccare
ad un chiodo arrugginito
il tuo campo di sole.

Ora c’è posto sufficiente per far tramontare ogni illusione.

Tasto piano la mia anima:
a sinistra,
sotto la costola,
un resto d’ala rotta punge dolorosamente.
seguo
sullo schermo della finestra
il cielo avvolto nelle stagioni.
proiezione bianco - nera.
però imparerò a inventare sfumature
fino a quando il bianco della pietra guanciale
non penetrerà nei miei capelli e nelle ciglia.
solo allora non avrò niente da perdere:
verso l’oriente fingerò il mare
e farò sommergere il mio poema naufragiato
che mai leggerai.
solo le tue labbra scandiranno meccanicamente,
sera dopo sera
un’ultima saputa preghiera
Tra poco
la lacrima bucherà la pietra,
boia,
e l’alba ristabilirà l’ordine nel mondo,
affrettati!
„il muro cinge di dolore
e in me la vita spegne...”

poemi dal muro - Gli smarrimenti XV

Ti vedo allontanare,
diventar sempre più sottile,
come uno spettro oltre i confini di un altro mondo.
mi tieni ancora per mano,
ma le tue dita diventano sempre più lunghe,
si sfilacciano
da un giorno all’altro,
da un attimo passato verso un attimo futuro,
da un ricordo antico
ad uno più recente che appena sanguina.

Hai la mano scocciante, mi dicevi,
se ogni tanto me ne separo
è solo perché sento il tuo bruciore.
Io
non sapendo che l’acqua sei tu
ho lasciato libero il fuoco...

Si spengono a turno le luci del palcoscenico.
il breve dramma
in quattro atti
si è giocato senza spettatori,
senza accorgerci
con gli interpreti che spesso
stanno mimando il dialogo.
il sipario cade come una ghigliottina sull’ultima immagine:
una donna brucia
in una città incandescente.
chi l’avrebbe pensato?
chi a raccoglierle
con cura
la cenere?

Non tutte le ali sono della Phoenice!

Sono condannata a girovagare
boia,
maledetta a non poter più sciogliere
ciò che si è fatto nodo: „l’ho visto,
principessa,
cadrà verso sera nel tuo letto già preparato,
però non lo potrai fermare...”

Lo scoppio di risa si è riversato tra i denti mancanti
rompendo il silenzio di un passato
con la tomba fresca ancora.

poemi dal muro - Gli smarrimenti XIV

Lettere dal fronte

Partendo mi lasciasti
tre cose:
un sentiero nel bosco
sul quale viaggia verso di te la luce
portata con cura
tra i palmi bruciati nella notte santa;
una rosa che non muore mai
perché la nutro ogni mattina
con il mio sangue
e un pezzo di cielo anoressicamente scollato
lungo il muro con crepe verso oriente.
mi hai detto febbrili parole d’amore
implorandomi di conservare il tuo tesoro
finché non saresti tornato vincitore
dalle guerre combattute
nella città senza semafori.

Mi sono messa ad aspettare
e la tua assenza ha generato
un fiume nel mio ventre.
l’acqua della vita ha fatto rinverdire gli alberi,
ha riportato i merli
e li ha fatti accoppiare sotto gli occhi di tutti,
ed io ho guardato affamata i loro rituali erotici.
mi scrivi con ottimismo dal ridosso del fronte
che è rimasto fermo da tre giorni
una lettera che odora di polvere
e gas di scappamento
calpestato da pedoni affrettati.
loro non hanno mai disegnato
cuori sull’asfalto.
ti mando come risposta un campo verde
in una busta affrancata
con tutte e quattro le foglie del trifoglio
portato in seno fino al tramonto.
in tua assenza
disegno un arcobaleno
che attacco
al cielo stretto
sempre più dolorosamente
nella carne del muro che gli cresce tra le costole.
proprio oggi ha sanguinato un po’,
però l’ho curato come ho potuto,
con una benda strappata dall’anima.

P.S. Sappi di me che sto bene,
ora non piango più tanto,
anzi c’è pace e calma quì,
e i mariti di alcune donne
hanno ripreso a tornare a casa.

Sono fiorite le mie lacrime,
boia,
e non ti attendo più
da quando la notte si è dimenticata di farsi notte.

poemi dal muro - Gli smarrimenti XII


È da allora che piove nella tua città!

Piombo sciolto cola sui muri.
un mezzo piano fino al cielo
attira gli uccelli ciechi.
gridando si scontrano contro la parte alta della finestra,
e la affliggono.

M’immagini dolorosamente stretta a te
e sai che non mi puoi fermare.
io sono quella che passa, così hai scritto
sull’angolo del modulo ancora incompleto.
poi lasciasti cadere tra gli spazi vuoti
il buio di un poema scritto una volta,
quando avevo all’incirca diciotto anni.
ero come nei versi di Bacovia,
mi dicevi e le tue parole furono rubate
dalle mani scarne che passavano tra i capelli,
e ci pesavano le ciglia.
le linie si rifiutavano di stare
sul cartone.
e nell’abbozzo insicuro mi conoscevi.
la musica ricopriva a stento
il rumore della cavità toracica.

Alla fine
il chiavistello ghigliottina la nuca della notte.
il silenzio si spacca disegnando una mappa per lo smarrimento.
le dita si toccano lividamente,
si memorizzano.
le labbra sussurrano muto.

E non ti sento!
e non mi senti!
l’altoparlante annuncia la partenza dal binario otto.
In strada
ci sono ancora orme di lacrime nel sangue.

Nella città con gli abbracci amputati,
boia,
sono stati rubati i semafori.
Alcuni restano sul lato sinistro,
altri sul lato destro,
alcuni scorrono in alto,
altri in giù…

joi, 23 august 2018

poemi dal muro - Gli smarrimenti IX

Arrivano ancora carovane con aromi e spezie
dal deserto verde.
perfidi i commercianti bussano alla porta
sanno che non li posso rifiutare.
la nostra giornata d’amore,
la notte ancora non arrivata,
un’ombra di tenerezza sfuggita all’uccisione in fascia,
la maschera di una tristezza tesa sul viso
come una seconda pelle,
tutte sono chiuse nella boccetta dei veleni
dalla quale verso ogni tanto una goccia
nel caffé mattutino.

Avrei voluto restare lì,
e non staccarmi dall’anima calda,
che si appanna come il pane appena tolto dal forno.
avrei voluto chiamare il buio
e chiuderci dentro
come nell’utero accogliente di un amore di vergine.
avrei inciso le storie in pietra
e avrei vissuto l’ultima notte
fino al mattino.
comunque, non sarebbe stato niente da aggiungere.

Avrei voluto non salire su quel treno.
è da allora che spacca la lontananza,
nebbia di un futuro incerto,
e cuce alla fine la vicinanza
da vivo,
in fretta
come una ferita che mai guarirà.

Ho venduto le mie notti
boia,
con ogni chiodo ficcato nella loro carne
cresce nel mio cuore un patibolo.
tra poco si farà
tagliente,
la mattinata.

poemi dal muro - Gli smarrimenti VIII


Non sono mai
preparata per l’arrivo dell’angelo.
vorrei alzare il mio sguardo
dalla fossa dove sedemmo e piangemmo,
condannata a scavare nel suo putrido muro.
tentare un’evasione,
prima di rivestirmi di pietra il cuore
con la paura di poterlo fare a pezzi,
e dividerlo per le feste,
moltiplicato come i pani nel deserto.
vorrei sentire
nel coro degli affamati
il calmo scivolare del vetro sulle guance.
è difficile immaginare
nascosta dai rami, con terra sotto le unghie,
la neve sporca
quando firmo con una linea spezzata
la Sua casa.

Cosa donare al mendicante
per riavere l’omaggio
come mi insegnò un altro guardiano,
biondo,
che Dio mi mandò una volta
ben disposto
e rinunciando ai consueti messaggi cifrati?

Oggi è arrivato l’angelo,
boia,
e non l’ho riconosciuto,
è ritornato
abbattuto,
nell’affresco.

poemi dal muro - Gli smarrimenti VII


Schiacciata sotto il cadavere della notte
la terra odora eccitante di giovane carne.
il sangue squilla bollente e straripa,
ubriaca sensi addormentati tardi.
preghiere si intrecciano febbrilmente tra le labbra.
piove rosso sulle ali degli angeli sordi.
come una palla
il pianto tocca il soffitto e si frantuma.
il grido cuce di nuovo il silenzio.

Al di là delle persiane spaccate,
in cielo,
piange Dio.

Lei è rimasta a pestare coi piedi la terra,
farla rassodare per bene con i ricordi purificati.
dai suoi piedi crescono radici.
dalla forza delle sue braccia
come da frasche senza foglie
sfugge l’ombra.
nel marmo delle sue ossa
il tagliapietre affila lo scalpello.
lei pesta ancora la terra
che odora
di nuovo
eccitante
di giovane carne.
La terra gialla seminata con tempesta,
boia,
frutta sempre il vuoto.

poemi dal muro - Gli smarrimenti VI


S’è spenta la vita dell’altera Venezia.

Serpenti luminosi,
filmati veloce avanti,
strisciano ai suoi piedi.
Dio gli ha inventato la gioia
e il sorriso sdentato,
steso su tutta la zona pedonale,
gli ha tagliato i panni sul corpo deformato
portati con etichetta alla corte del doge.
i dizionari,
i libri di viaggio,
le mappe turistiche
e la storia dell’impero
per lui sono stati scritti
e per la sua biblioteca di tremila volumi,
venduti al minuto
sul banco improvvisato.
avrei voluto comprargli un sogno
calmante per la malattia,
però il negozio alimentari era già chiuso
prima che finisse
la storia del palazzo veneto.

È buio dietro le finestre con le inferriate.
là vivono i sani,
quelli che vendono la patria
e nascondono negli armadi metallici
l’amore senza libri.
mi viene voglia di gridare:
uscite dalle vostre adorate prigioni
e vincete la fobia!
serpenti
dai corpi colorati,
vorrei esservi d’ostacolo.
non aver paura,
egli ride col cuore
e il suo scoppio di risa spacca il caos
due strade più avanti,
nella mia gondola l’acqua non entra,
i canali si svuotano sempre
fino al giorno.

„uno mi ha fatto attraversare il confine,
e lì ho subito un malessere generale,
sono diventato rosso,
sono sudato,
è salita la pressione arteriale
e sarei morto
se non mi fosse riportato quì.”

Una notte
ti regalerò un regno,
boia,
ora so cosa è soffrire di mal du pays.

Voi

A Serena e Giorgia Gli esseri umani scelgono sempre le vie veloci. La corsa sulle autostrade li offre una sicurezza in piu ...