Amo tutti i giorni di libertà,
e nelle notti tra loro espio le penitenze.
La peccatrice non è stata lapidata.
supera i confini dei miei pensieri
incurante.
con cocci di cielo dentro le pupille
taglia in viva carne.
il sangue scorre calmo
fino alla sedia del giudice.
passa orgogliosa,
ad ogni pensiero
abbatte con la fronte
un angelo.
ai suoi piedi
la sentenza cade pesante
come un uccello ucciso quando c’è luce.
vorrei parlarle
però non so in che lingua piange.
Vorrei ammorbidire le sue catene
però
ogni volta
ho le braccia piene di fiori.
la guardo impotente
facendomi simile alla pietra.
si chiama Anna.
il suo nome rotola attraverso me nel tempo
come una palla di bowling.
poi ho sete.
e morte.
La mattina
la mano della colpevole asciuga il sudore del sogno
sulla fronte staccata dall’intonaco.
sotto il suo palmo fioriscono grinze.
Non mi diverto mai con il gioco della campana,
boia.
Non posso saltare oltre i muri di creta.
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miercuri, 29 august 2018
poemi dal muro - La separazione IV
In verità tutto è vanità...
Solo l’amore per te
mi ferma di essere una Karenina,
anche se porto il suo nome.
tu non senti come
apro talvolta la finestra.
la chiamata di un treno sale lamentosa
sull’edera rossa
fino al caldo del seno
sgozzato dall’attesa.
né come prendono corpo dalla notte
i fantasmi della solitudine
e come scorrono diluiti nelle tinte
che hanno l’odore di donna che scrive la stessa storia.
Non ti ho mai parlato di paura.
dalle lettere apprendi sempre che sto bene
e nelle fotografie non puoi vedere
sotto la traslucida pelle
la mappa gelata del sangue.
Lavo nel tramonto un libro.
vorrei sapere almeno
che non ci chiuderemo tra le sue copertine.
e che tu resterai
sempre
reciso dall’estremità del mattino.
Sopra le palpebre
s’accumulano pietre
e l’alba arriva sempre troppo tardi...
se non ti amassi...
come sarebbe semplice se non ti amassi!
Dalla coppa che trabocca con generosità,
boia,
berrai veleno anche tu.
quel giorno verrà!
Solo l’amore per te
mi ferma di essere una Karenina,
anche se porto il suo nome.
tu non senti come
apro talvolta la finestra.
la chiamata di un treno sale lamentosa
sull’edera rossa
fino al caldo del seno
sgozzato dall’attesa.
né come prendono corpo dalla notte
i fantasmi della solitudine
e come scorrono diluiti nelle tinte
che hanno l’odore di donna che scrive la stessa storia.
Non ti ho mai parlato di paura.
dalle lettere apprendi sempre che sto bene
e nelle fotografie non puoi vedere
sotto la traslucida pelle
la mappa gelata del sangue.
Lavo nel tramonto un libro.
vorrei sapere almeno
che non ci chiuderemo tra le sue copertine.
e che tu resterai
sempre
reciso dall’estremità del mattino.
Sopra le palpebre
s’accumulano pietre
e l’alba arriva sempre troppo tardi...
se non ti amassi...
come sarebbe semplice se non ti amassi!
Dalla coppa che trabocca con generosità,
boia,
berrai veleno anche tu.
quel giorno verrà!
poemi dal muro - La separazione II
Ogni Anna porta nell’anima il muro.
Cadono petali di sangue
si schiacciano con eco sulle pietre
schizzando il muro grezzo.
la spina morde perfidamente il seno che trema
sotto il simulacro dell’abbraccio.
resta indietro una via di papaveri
e un campo da seminare davanti.
Torno
sempre
nella mia prigione.
amica,
come per darmi il benvenuto:
mi permette di attaccare
ad un chiodo arrugginito
il tuo campo di sole.
Ora c’è posto sufficiente per far tramontare ogni illusione.
Tasto piano la mia anima:
a sinistra,
sotto la costola,
un resto d’ala rotta punge dolorosamente.
seguo
sullo schermo della finestra
il cielo avvolto nelle stagioni.
proiezione bianco - nera.
però imparerò a inventare sfumature
fino a quando il bianco della pietra guanciale
non penetrerà nei miei capelli e nelle ciglia.
solo allora non avrò niente da perdere:
verso l’oriente fingerò il mare
e farò sommergere il mio poema naufragiato
che mai leggerai.
solo le tue labbra scandiranno meccanicamente,
sera dopo sera
un’ultima saputa preghiera
Tra poco
la lacrima bucherà la pietra,
boia,
e l’alba ristabilirà l’ordine nel mondo,
affrettati!
„il muro cinge di dolore
e in me la vita spegne...”
Cadono petali di sangue
si schiacciano con eco sulle pietre
schizzando il muro grezzo.
la spina morde perfidamente il seno che trema
sotto il simulacro dell’abbraccio.
resta indietro una via di papaveri
e un campo da seminare davanti.
Torno
sempre
nella mia prigione.
amica,
come per darmi il benvenuto:
mi permette di attaccare
ad un chiodo arrugginito
il tuo campo di sole.
Ora c’è posto sufficiente per far tramontare ogni illusione.
Tasto piano la mia anima:
a sinistra,
sotto la costola,
un resto d’ala rotta punge dolorosamente.
seguo
sullo schermo della finestra
il cielo avvolto nelle stagioni.
proiezione bianco - nera.
però imparerò a inventare sfumature
fino a quando il bianco della pietra guanciale
non penetrerà nei miei capelli e nelle ciglia.
solo allora non avrò niente da perdere:
verso l’oriente fingerò il mare
e farò sommergere il mio poema naufragiato
che mai leggerai.
solo le tue labbra scandiranno meccanicamente,
sera dopo sera
un’ultima saputa preghiera
Tra poco
la lacrima bucherà la pietra,
boia,
e l’alba ristabilirà l’ordine nel mondo,
affrettati!
„il muro cinge di dolore
e in me la vita spegne...”
poemi dal muro - Gli smarrimenti XV
Ti vedo allontanare,
diventar sempre più sottile,
come uno spettro oltre i confini di un altro mondo.
mi tieni ancora per mano,
ma le tue dita diventano sempre più lunghe,
si sfilacciano
da un giorno all’altro,
da un attimo passato verso un attimo futuro,
da un ricordo antico
ad uno più recente che appena sanguina.
Hai la mano scocciante, mi dicevi,
se ogni tanto me ne separo
è solo perché sento il tuo bruciore.
Io
non sapendo che l’acqua sei tu
ho lasciato libero il fuoco...
Si spengono a turno le luci del palcoscenico.
il breve dramma
in quattro atti
si è giocato senza spettatori,
senza accorgerci
con gli interpreti che spesso
stanno mimando il dialogo.
il sipario cade come una ghigliottina sull’ultima immagine:
una donna brucia
in una città incandescente.
chi l’avrebbe pensato?
chi a raccoglierle
con cura
la cenere?
Non tutte le ali sono della Phoenice!
Sono condannata a girovagare
boia,
maledetta a non poter più sciogliere
ciò che si è fatto nodo: „l’ho visto,
principessa,
cadrà verso sera nel tuo letto già preparato,
però non lo potrai fermare...”
Lo scoppio di risa si è riversato tra i denti mancanti
rompendo il silenzio di un passato
con la tomba fresca ancora.
diventar sempre più sottile,
come uno spettro oltre i confini di un altro mondo.
mi tieni ancora per mano,
ma le tue dita diventano sempre più lunghe,
si sfilacciano
da un giorno all’altro,
da un attimo passato verso un attimo futuro,
da un ricordo antico
ad uno più recente che appena sanguina.
Hai la mano scocciante, mi dicevi,
se ogni tanto me ne separo
è solo perché sento il tuo bruciore.
Io
non sapendo che l’acqua sei tu
ho lasciato libero il fuoco...
Si spengono a turno le luci del palcoscenico.
il breve dramma
in quattro atti
si è giocato senza spettatori,
senza accorgerci
con gli interpreti che spesso
stanno mimando il dialogo.
il sipario cade come una ghigliottina sull’ultima immagine:
una donna brucia
in una città incandescente.
chi l’avrebbe pensato?
chi a raccoglierle
con cura
la cenere?
Non tutte le ali sono della Phoenice!
Sono condannata a girovagare
boia,
maledetta a non poter più sciogliere
ciò che si è fatto nodo: „l’ho visto,
principessa,
cadrà verso sera nel tuo letto già preparato,
però non lo potrai fermare...”
Lo scoppio di risa si è riversato tra i denti mancanti
rompendo il silenzio di un passato
con la tomba fresca ancora.
poemi dal muro - Gli smarrimenti XIV
Lettere dal fronte
Partendo mi lasciasti
tre cose:
un sentiero nel bosco
sul quale viaggia verso di te la luce
portata con cura
tra i palmi bruciati nella notte santa;
una rosa che non muore mai
perché la nutro ogni mattina
con il mio sangue
e un pezzo di cielo anoressicamente scollato
lungo il muro con crepe verso oriente.
mi hai detto febbrili parole d’amore
implorandomi di conservare il tuo tesoro
finché non saresti tornato vincitore
dalle guerre combattute
nella città senza semafori.
Mi sono messa ad aspettare
e la tua assenza ha generato
un fiume nel mio ventre.
l’acqua della vita ha fatto rinverdire gli alberi,
ha riportato i merli
e li ha fatti accoppiare sotto gli occhi di tutti,
ed io ho guardato affamata i loro rituali erotici.
mi scrivi con ottimismo dal ridosso del fronte
che è rimasto fermo da tre giorni
una lettera che odora di polvere
e gas di scappamento
calpestato da pedoni affrettati.
loro non hanno mai disegnato
cuori sull’asfalto.
ti mando come risposta un campo verde
in una busta affrancata
con tutte e quattro le foglie del trifoglio
portato in seno fino al tramonto.
in tua assenza
disegno un arcobaleno
che attacco
al cielo stretto
sempre più dolorosamente
nella carne del muro che gli cresce tra le costole.
proprio oggi ha sanguinato un po’,
però l’ho curato come ho potuto,
con una benda strappata dall’anima.
P.S. Sappi di me che sto bene,
ora non piango più tanto,
anzi c’è pace e calma quì,
e i mariti di alcune donne
hanno ripreso a tornare a casa.
Sono fiorite le mie lacrime,
boia,
e non ti attendo più
da quando la notte si è dimenticata di farsi notte.
Partendo mi lasciasti
tre cose:
un sentiero nel bosco
sul quale viaggia verso di te la luce
portata con cura
tra i palmi bruciati nella notte santa;
una rosa che non muore mai
perché la nutro ogni mattina
con il mio sangue
e un pezzo di cielo anoressicamente scollato
lungo il muro con crepe verso oriente.
mi hai detto febbrili parole d’amore
implorandomi di conservare il tuo tesoro
finché non saresti tornato vincitore
dalle guerre combattute
nella città senza semafori.
Mi sono messa ad aspettare
e la tua assenza ha generato
un fiume nel mio ventre.
l’acqua della vita ha fatto rinverdire gli alberi,
ha riportato i merli
e li ha fatti accoppiare sotto gli occhi di tutti,
ed io ho guardato affamata i loro rituali erotici.
mi scrivi con ottimismo dal ridosso del fronte
che è rimasto fermo da tre giorni
una lettera che odora di polvere
e gas di scappamento
calpestato da pedoni affrettati.
loro non hanno mai disegnato
cuori sull’asfalto.
ti mando come risposta un campo verde
in una busta affrancata
con tutte e quattro le foglie del trifoglio
portato in seno fino al tramonto.
in tua assenza
disegno un arcobaleno
che attacco
al cielo stretto
sempre più dolorosamente
nella carne del muro che gli cresce tra le costole.
proprio oggi ha sanguinato un po’,
però l’ho curato come ho potuto,
con una benda strappata dall’anima.
P.S. Sappi di me che sto bene,
ora non piango più tanto,
anzi c’è pace e calma quì,
e i mariti di alcune donne
hanno ripreso a tornare a casa.
Sono fiorite le mie lacrime,
boia,
e non ti attendo più
da quando la notte si è dimenticata di farsi notte.
poemi dal muro - Gli smarrimenti XII
È da allora che piove nella tua città!
Piombo sciolto cola sui muri.
un mezzo piano fino al cielo
attira gli uccelli ciechi.
gridando si scontrano contro la parte alta della finestra,
e la affliggono.
M’immagini dolorosamente stretta a te
e sai che non mi puoi fermare.
io sono quella che passa, così hai scritto
sull’angolo del modulo ancora incompleto.
poi lasciasti cadere tra gli spazi vuoti
il buio di un poema scritto una volta,
quando avevo all’incirca diciotto anni.
ero come nei versi di Bacovia,
mi dicevi e le tue parole furono rubate
dalle mani scarne che passavano tra i capelli,
e ci pesavano le ciglia.
le linie si rifiutavano di stare
sul cartone.
e nell’abbozzo insicuro mi conoscevi.
la musica ricopriva a stento
il rumore della cavità toracica.
Alla fine
il chiavistello ghigliottina la nuca della notte.
il silenzio si spacca disegnando una mappa per lo smarrimento.
le dita si toccano lividamente,
si memorizzano.
le labbra sussurrano muto.
E non ti sento!
e non mi senti!
l’altoparlante annuncia la partenza dal binario otto.
In strada
ci sono ancora orme di lacrime nel sangue.
Nella città con gli abbracci amputati,
boia,
sono stati rubati i semafori.
Alcuni restano sul lato sinistro,
altri sul lato destro,
alcuni scorrono in alto,
altri in giù…
joi, 23 august 2018
poemi dal muro - Gli smarrimenti IX
Arrivano ancora carovane con aromi e spezie
dal deserto verde.
perfidi i commercianti bussano alla porta
sanno che non li posso rifiutare.
la nostra giornata d’amore,
la notte ancora non arrivata,
un’ombra di tenerezza sfuggita all’uccisione in fascia,
la maschera di una tristezza tesa sul viso
come una seconda pelle,
tutte sono chiuse nella boccetta dei veleni
dalla quale verso ogni tanto una goccia
nel caffé mattutino.
Avrei voluto restare lì,
e non staccarmi dall’anima calda,
che si appanna come il pane appena tolto dal forno.
avrei voluto chiamare il buio
e chiuderci dentro
come nell’utero accogliente di un amore di vergine.
avrei inciso le storie in pietra
e avrei vissuto l’ultima notte
fino al mattino.
comunque, non sarebbe stato niente da aggiungere.
Avrei voluto non salire su quel treno.
è da allora che spacca la lontananza,
nebbia di un futuro incerto,
e cuce alla fine la vicinanza
da vivo,
in fretta
come una ferita che mai guarirà.
Ho venduto le mie notti
boia,
con ogni chiodo ficcato nella loro carne
cresce nel mio cuore un patibolo.
tra poco si farà
tagliente,
la mattinata.
dal deserto verde.
perfidi i commercianti bussano alla porta
sanno che non li posso rifiutare.
la nostra giornata d’amore,
la notte ancora non arrivata,
un’ombra di tenerezza sfuggita all’uccisione in fascia,
la maschera di una tristezza tesa sul viso
come una seconda pelle,
tutte sono chiuse nella boccetta dei veleni
dalla quale verso ogni tanto una goccia
nel caffé mattutino.
Avrei voluto restare lì,
e non staccarmi dall’anima calda,
che si appanna come il pane appena tolto dal forno.
avrei voluto chiamare il buio
e chiuderci dentro
come nell’utero accogliente di un amore di vergine.
avrei inciso le storie in pietra
e avrei vissuto l’ultima notte
fino al mattino.
comunque, non sarebbe stato niente da aggiungere.
Avrei voluto non salire su quel treno.
è da allora che spacca la lontananza,
nebbia di un futuro incerto,
e cuce alla fine la vicinanza
da vivo,
in fretta
come una ferita che mai guarirà.
Ho venduto le mie notti
boia,
con ogni chiodo ficcato nella loro carne
cresce nel mio cuore un patibolo.
tra poco si farà
tagliente,
la mattinata.
poemi dal muro - Gli smarrimenti VIII
Non sono mai
preparata per l’arrivo dell’angelo.
vorrei alzare il mio sguardo
dalla fossa dove sedemmo e piangemmo,
condannata a scavare nel suo putrido muro.
tentare un’evasione,
prima di rivestirmi di pietra il cuore
con la paura di poterlo fare a pezzi,
e dividerlo per le feste,
moltiplicato come i pani nel deserto.
vorrei sentire
nel coro degli affamati
il calmo scivolare del vetro sulle guance.
è difficile immaginare
nascosta dai rami, con terra sotto le unghie,
la neve sporca
quando firmo con una linea spezzata
la Sua casa.
Cosa donare al mendicante
per riavere l’omaggio
come mi insegnò un altro guardiano,
biondo,
che Dio mi mandò una volta
ben disposto
e rinunciando ai consueti messaggi cifrati?
Oggi è arrivato l’angelo,
boia,
e non l’ho riconosciuto,
è ritornato
abbattuto,
nell’affresco.
poemi dal muro - Gli smarrimenti VII
Schiacciata sotto il cadavere della notte
la terra odora eccitante di giovane carne.
il sangue squilla bollente e straripa,
ubriaca sensi addormentati tardi.
preghiere si intrecciano febbrilmente tra le labbra.
piove rosso sulle ali degli angeli sordi.
come una palla
il pianto tocca il soffitto e si frantuma.
il grido cuce di nuovo il silenzio.
Al di là delle persiane spaccate,
in cielo,
piange Dio.
Lei è rimasta a pestare coi piedi la terra,
farla rassodare per bene con i ricordi purificati.
dai suoi piedi crescono radici.
dalla forza delle sue braccia
come da frasche senza foglie
sfugge l’ombra.
nel marmo delle sue ossa
il tagliapietre affila lo scalpello.
lei pesta ancora la terra
che odora
di nuovo
eccitante
di giovane carne.
La terra gialla seminata con tempesta,
boia,
frutta sempre il vuoto.
poemi dal muro - Gli smarrimenti VI
S’è spenta la vita dell’altera Venezia.
Serpenti luminosi,
filmati veloce avanti,
strisciano ai suoi piedi.
Dio gli ha inventato la gioia
e il sorriso sdentato,
steso su tutta la zona pedonale,
gli ha tagliato i panni sul corpo deformato
portati con etichetta alla corte del doge.
i dizionari,
i libri di viaggio,
le mappe turistiche
e la storia dell’impero
per lui sono stati scritti
e per la sua biblioteca di tremila volumi,
venduti al minuto
sul banco improvvisato.
avrei voluto comprargli un sogno
calmante per la malattia,
però il negozio alimentari era già chiuso
prima che finisse
la storia del palazzo veneto.
È buio dietro le finestre con le inferriate.
là vivono i sani,
quelli che vendono la patria
e nascondono negli armadi metallici
l’amore senza libri.
mi viene voglia di gridare:
uscite dalle vostre adorate prigioni
e vincete la fobia!
serpenti
dai corpi colorati,
vorrei esservi d’ostacolo.
non aver paura,
egli ride col cuore
e il suo scoppio di risa spacca il caos
due strade più avanti,
nella mia gondola l’acqua non entra,
i canali si svuotano sempre
fino al giorno.
„uno mi ha fatto attraversare il confine,
e lì ho subito un malessere generale,
sono diventato rosso,
sono sudato,
è salita la pressione arteriale
e sarei morto
se non mi fosse riportato quì.”
Una notte
ti regalerò un regno,
boia,
ora so cosa è soffrire di mal du pays.
poemi dal muro - Gli smarrimenti II
Tutte le acque hanno il colore
dell’annegamento
Emil Cioran
La finestra rotta della Fabbrica di conserve
ha reciso l’alba.
sui muri scorre il sangue rinfrescante
e si insinua per i sentieri verso le acque.
nei giacigli di ninfee
la giornata ha perso la verginità.
le dita si schiacciano lividamente contro il legno della barca
e i pensieri inseguono la mia scia verso il labirinto.
ti sei nascosto in me per tutta la notte.
i tuoi occhi si moltiplicano tra le corolle toccate dalla malattia,
pupille gialle penetrano in me
fino al midollo di cera,
uccelli insonnoliti trasaliscono commossi
nel nido di lino,
torrenti vengono da lontano
e percorrono perversi le viscere dormendo.
Fermati!
non guardarmi così!
tutti capiranno cosa ti è successo
nella camera con letto da contadini,
nella seconda strada,
parallela al mare.
il barcaiuolo ha già lo sguardo
che mi colpisce in faccia.
Fermati!
o ti strapperanno gli occhi che scivolano sul mio corpo
col miele dello sguardo.
con entrambe le mani io te li strapperò,
per quanto caparbie siano le loro grosse vene
e per quanto strano griderebbe il barcaiuolo
nella sua lingua incompresa...
L’orizzonte si veste di lutto azzurro.
il motore tace affogato nella sabbia.
al di là del cadavere mummificato del cavallo selvatico
si stende,
black hole,
il bosco di Letea.
bianche o trasparenti,
le nuvolette tonde di fumo si alzano piano verso il cielo.
l’uomo e la sua sigaretta si appoggiano nervosamente
tra le palpebre semiaperte.
l’avvertismento gridato
tra fiori di loto
con le radici affondate nel fango
mi spezza il timpano intorpidito.
Nella città cresciuta sullo scoglio
lo spuntar del sole,
boia,
arriva sempre prima di te.
poemi dal muro - La Creazione XII
Ecco
io mando davanti a te il Mio angelo,
per proteggere il tuo cammino...
Il grido dell’assenza spacca il buio nello specchio.
l’implosione strappa il telo tessuto sull’insettario.
le tue ali sono sempre lì,
inchiodate sullo schermo,
elitre strappate nella furia dell’abbraccio.
cammino scalza sui ricordi in agonia.
non ho potuto costruire per loro un tempio.
al massimo un reparto di cura alterna.
eppure niente è cambiato da quando sei partito: le candele bruciano,
oli ribolliscono nei candelieri,
l’odore del nostro sangue mischiato
fa ancora precipitare le schiere dell’alto...
Non è successo niente da quando sei arrivato.
tra le parantesi
cresce un giardino attaccato al seno sinistro
con una ferrovia.
solo io mi sciolgo
di nuovo
in parole,
attacco le notti una all’altra con virgole,
cuccio la spaccatura nel petto con un trattino d’unione
allo spuntar del sole,
spargo punti di sospensione
davanti ai segni di domanda.
E aspetto.
Quanto può vivere l’angelo,
boia,
dopo che si è strappato le ali?
poemi dal muro - La Creazione XI
„E poi fu sera
e poi fu mattino:
il primo giorno.”
Nuvola stracciata,
sporca come la tendina del vagone di prima classe,
cenere straripa sulle cime.
la pelle del tramonto,
straccio d’arlecchino
si attacca alla croce.
nessuna golgota è troppo in alto!
di corsa
il ferro tentante sparpaglia la pozza dei papaveri.
e scivola, scivola...
sibillano lingue d’acciaio nel silenzio delle piccole stazioni.
il silenzio si spacca fino al cielo.
il pensiero libera ali.
braccia staccate dal corpo
corrono ad accogliere
braccia staccate da tempo.
„E poi fu sera
e poi fu mattino:
il secondo giorno.”
L’arco di fuoco taglia la retina.
i bisbigli si schiacciano sulle labbra.
sotto l’involucro che brucia traslucido,
fino al midollo di magma
le parole si reinventano.
nel brillìo della stella i corpi tacciono avvinghiati.
Adamo e sua moglie
erano entrambi nudi
e non si vergognavano.”
All’estremità della mattinata,
boia,
i cherubini aspettano la nascita di Caino!
poemi dal muro - La Creazione VIII
Rattristata è la mia anima fino alla morte
Salgono i gradini scolpiti nella carne della montagna
loro,
quelle che abitano me
come i licheni il vecchio pero selvatico.
infide creature con le zanne bianche macchiate di sangue,
brillano selvaggiamente nel plennilunio.
nel gruppo di betulle
libererò l’uccello notturno,
le sue ali strappate si sincronizzano:
l’atrio destro - l’atrio sinistro,
l’atrio destro - l’atrio sinistro...
Salgono verso il luogo dove saranno sepolte.
tra i tronchi che bruciano fino al bianco
il vento canterà il loro recviem.
si sono cibate di me a sufficienza!
si sono incurvate le spalle sotto il proprio peso
e lacrime mescolate al sangue a sufficienza
ho bevuto.
basta!
i loro nomi siano in oblìo eterno.
amen!
I cuore sbalza ogni due gradini
rivestiti di muschio.
nella nebbia mattutina si perdono le stazioni
e i pali di telegrafo.
e le case del piccolo villaggio dimenticato si cancellano.
il treno esce dalla mia notte come da una lunga galleria.
su una banchina
lastricata con le pietre funerarie degli altri amori
egli m’attende.
Il bosco di betulle
non è il Giardino di Getsemani,
traditore!
poemi dal muro - La Creazione VI
grafica di Vásárhelyi Antal
La primavera viaggia col treno notturno.
La neve a strati seppellisce i mobili vecchi,
dell’altro passato.
sul pavimento
il buio e il freddo rotolano avvinghiati.
Mi dicevi che volevi fuggire insieme altrove,
dove non c’è inverno.
di aver acquisito in anticipo i biglietti di treno,
a prezzo ridotto.
con due posti al finestrino
dal quale poter ammirare con facilità la carne bianca della notte
quando urta contro il vetro sporco.
Però questo è stato in un altro tempo...
Oggi ancora ti scrivo epistole
spedite in buste traslucide
tramite le quali si vedono i punti e le virgole.
anche le maiuscole si vedono,
sui fogli criogenati.
Abitiamo una sfera gelata.
io a nord,
tu a sud.
Il mio buio scivola.
il mobile antico della mia camera
precipita sul mobile in prestito della tua camera.
la radio annuncia codice rosso di tempesta di neve e gelo.
Un treno è rimasto bloccato tra le nevi in montagna.
tu aspetti su una banchina,
boia.
le peonie hanno insanguinato la tua accetta.
poemi dal muro - La Creazione V
grafica di Vásárhelyi Antal
„Se sei Tu,
comandami di venire da Te camminando sulle acque!”
Onde che cozzano nella finestra.
i pescatori buttano le reti dalla soglia.
il mostro riversa le sue interiora sulla riva.
la straducola polverosa cade nei buchi
all’altezza della bottega di cannucce.
Je ne regrette rien,
sussurra rauco l’altoparlante.
„Accanto al cimitero ebreo,
di là si arriva al mare”,
si intrommette la voce di Anna, l’ucraina.
oltre le colline verso il nulla...
fino a quando dolci bracci d’acqua si perdono in fusioni salate.
bagno di sangue scorre dal cielo.
lascia il Tuo miracolo a venire da me!
Salvo negli sguardi l’immagine del tramonto.
aghi di fiamme incidono la mia retina.
il cerchio di fuoco,
attaccato alla pupilla,
scivola al di là.
le acque innondano la cornea d’azzurro.
le pietre tacciono e si imbattono nell’iride.
la sabbia sgraffia con rumore il cristallino.
le porte cadono chiuse.
Un altro giorno.
il mare si sveglia sotto le palpebre.
Se sei tu,
mi dice il boia,
vieni da me sulle acque!
poemi dal muro - La Creazione III
Passiamo la notte in ritmo di tango!
Non accendere la luce.
non parlare.
non pensare.
lasciati a disposizione dei sensi.
la giornata è tua.
tu mi donasti la notte...
Fulmine attaccato al fulmine
sull’iride.
Si spacca la purità di specchio sotto le palpebre.
nel breve brillìo vedo esondare la tua anima nuda.
nel breve brillìo vedi esondare la mia anima nuda.
dita - fronde accarezzano il mio volto
con tocchi di foglie.
sprechi di fiori,
nettare non colto.
le tue braccia,
rami robusti
cresciuti brutalmente
intorno al tronco in fiamme.
Abbraccio con lo sguardo la spalla tonda.
tu lanci lo sguardo a vedere al di là della spalla tonda.
radici dritte scorrono dai tronchi
e si uniscono intrecciate.
scivolare insinuante di serpente
che cola sul tuo corpo che brucia.
rosso rubino bollente
l’orso morde dal troppo pieno bicchiere.
polpa bianca della mela macchiata di sangue.
Nell’alone di fuoco
due torce bruciate dalla notte.
la finestra colpita
dagli aghi gelati del mattino ghiacciato.
A Buenos Aires è ancora notte, boia, lo devi sapere!
Non accendere la luce.
non parlare.
non pensare.
lasciati a disposizione dei sensi.
la giornata è tua.
tu mi donasti la notte...
Fulmine attaccato al fulmine
sull’iride.
Si spacca la purità di specchio sotto le palpebre.
nel breve brillìo vedo esondare la tua anima nuda.
nel breve brillìo vedi esondare la mia anima nuda.
dita - fronde accarezzano il mio volto
con tocchi di foglie.
sprechi di fiori,
nettare non colto.
le tue braccia,
rami robusti
cresciuti brutalmente
intorno al tronco in fiamme.
Abbraccio con lo sguardo la spalla tonda.
tu lanci lo sguardo a vedere al di là della spalla tonda.
radici dritte scorrono dai tronchi
e si uniscono intrecciate.
scivolare insinuante di serpente
che cola sul tuo corpo che brucia.
rosso rubino bollente
l’orso morde dal troppo pieno bicchiere.
polpa bianca della mela macchiata di sangue.
Nell’alone di fuoco
due torce bruciate dalla notte.
la finestra colpita
dagli aghi gelati del mattino ghiacciato.
A Buenos Aires è ancora notte, boia, lo devi sapere!
poemi dal muro - La Creazione II
Il corteggio delle vergini porta il lutto bianco
Cadono cocci di silenzio rimbombanti.
la folla corre, taglia la strada a metà,
calpesta la schiena del passaggio pedonale
con le vertebre a pezzi.
da dietro le persiane alzate mirano frecce.
nessuno dorme in questa città!
La bambina gioca a pié zoppo sulla linea dell’orizzonte
avvolta nei veli.
e poi,
lo strascico ricamato con corpi di sogni decapitati
accarezza il marciapiede.
sotto la pelle traslucida
pulsa il sangue anemico nelle vene.
Accommiatati, giovane sposa...
Nessuno piange in questa città!
Da rossiccia si fa azzurra cupo,
da azzurra cupo si fa nera,
da nera la notte partorisce un altro giorno.
Non puoi uccidere boia ciò che già è stato ucciso.
Cadono cocci di silenzio rimbombanti.
la folla corre, taglia la strada a metà,
calpesta la schiena del passaggio pedonale
con le vertebre a pezzi.
da dietro le persiane alzate mirano frecce.
nessuno dorme in questa città!
La bambina gioca a pié zoppo sulla linea dell’orizzonte
avvolta nei veli.
e poi,
lo strascico ricamato con corpi di sogni decapitati
accarezza il marciapiede.
sotto la pelle traslucida
pulsa il sangue anemico nelle vene.
Accommiatati, giovane sposa...
Nessuno piange in questa città!
Da rossiccia si fa azzurra cupo,
da azzurra cupo si fa nera,
da nera la notte partorisce un altro giorno.
Non puoi uccidere boia ciò che già è stato ucciso.
poemi dal muro - La Creazione I
Il re pioppo giace
col corpo spezzettato
cioppi dritti
uguali
e la sua corona accanto.
attaccati alle frasche
globi con la doratura scrostata
spezzata.
sogni rosa straripanti dai buchi neri.
frantumi di repliche verdi
dello stesso cuore
toccato dal mantello del dio.
un ultimo alito appena scandito
lacrimoso un re minore.
la fanciulezza e l’adoscescenza
diritte nella seva che scorre.
dissipazione di parole
e di segreti.
lettere di fuoco
stimmate nella polvere.
basilico cucito nel guanciale
libro santo accanto al mio guanciale.
l’incantesimo di donna dal viso d’angelo sotto la neve.
sogno profondo di grave malattia,
ripetuto ogni notte.
muri di pietra che si avvicinano
che abbracciano freddamente il buio avido.
il grido d’uccello notturno
dal petto della donna bambino.
persi insieme a lui.
Al di là della finestra
piange il posto vuoto del pioppo.
Il giorno è troppo bianco per un racconto
nero.
Ancora una notte, boia e un altro giorno ancora!
poemi dal muro - Poema liminare
Ani Bradea
poemi dal muro
traduzione dal rumeno di
Stefan Damian
Editrice Rivista Tribuna, Cluj-Napoca, 2017
Poema liminare
Di notte sogno il mare tranquillo come un notturno
e la tua assenza portata a spasso sulla riva deserta.
un strana donna proietta sulla mia retina
una diapositiva con immagini di altri tempi.
cavalloni inattesi scaturiti
frammezzati dalle mura di una lacustra.
spiagge morse dall’acqua
un drago nero che ingoia corpi bianchi.
vie spostate insieme alle case
in universi paralleli.
dove venire da me?
dove essere tua?
il ridere grottesco della donna sciamano.
incanti scanditi in una lingua incompresa.
aghi di ghiaccio sciolti nella fiamma degli occhi.
manipolo d’erba che spunta dalla cenere in polvere.
e sarà nuovamente giorno.
e sarà nuovamente luce.
anche dopo questa notte.
poemi dal muro
traduzione dal rumeno di
Stefan Damian
Editrice Rivista Tribuna, Cluj-Napoca, 2017
Poema liminare
Di notte sogno il mare tranquillo come un notturno
e la tua assenza portata a spasso sulla riva deserta.
un strana donna proietta sulla mia retina
una diapositiva con immagini di altri tempi.
cavalloni inattesi scaturiti
frammezzati dalle mura di una lacustra.
spiagge morse dall’acqua
un drago nero che ingoia corpi bianchi.
vie spostate insieme alle case
in universi paralleli.
dove venire da me?
dove essere tua?
il ridere grottesco della donna sciamano.
incanti scanditi in una lingua incompresa.
aghi di ghiaccio sciolti nella fiamma degli occhi.
manipolo d’erba che spunta dalla cenere in polvere.
e sarà nuovamente giorno.
e sarà nuovamente luce.
anche dopo questa notte.
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